San Damaso Papa

Testo tratto dall’Omelia del Card. Mauro Piacenza dell’11 dicembre 2017 presso la Basilica di San Lorenzo in Damaso

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La totale ed appassionata dedizione del Papa San Damaso alla Persona di Gesù di Nazareth, Signore e Cristo, nell’esercizio fedele e fiero dell’ufficio petrino, ha innervato e tutt’ora innerva l’intera storia della Chiesa.

Basti richiamare alla memoria l’adozione della lingua latina come lingua ufficiale della preghiera liturgica nel rito romano, la conseguente traduzione della Sacra Bibbia in latino, affidata dal Papa a San Girolamo e giunta a noi nella Vulgata, l’organizzazione di una Curia centralizzata e il ricorso alle lettere decretali quale espressione diretta dell’autorità pontificia e perciò vincolanti per la Chiesa universale, la strenua affermazione della centralità romana, il ruolo fondamentale nei rapporti con l’imperatore Teodosio e la proclamazione del Cristianesimo quale religione dell’impero, con l’Editto di Tessalonica del 380 che, per la prima volta in modo ufficiale, chiama christiani catholici quanti aderiscono alla fede «che il Divino Apostolo Pietro ha trasmesso ai Romani e seguono il Pontefice Damaso».

Ma è ad un aspetto in particolare – apparentemente marginale forse – del suo ministero, che vogliamo volgere l’attenzione. Mentre il Cristianesimo assaporava finalmente la libertà religiosa, dopo oltre due secoli di persecuzione violenta, e il culto della Chiesa si spostava dal buio delle catacombe alle grandi chiese e basiliche romane, mentre nasceva la pax christiana, il Papa San Damaso si preoccupò di custodire le catacombe ormai abbandonate e di “segnare” le tombe dei martiri con epitaffi di sua raffinata quanto affettuosa composizione – i Damasi Epigrammata – che ne cantassero le lodi e ne trasmettessero ai posteri la memoria.

Mentre il cristianesimo conosceva il primo “provvidenziale” favore del potere politico e anche i primi benefici che da questo, talora, derivavano nel fronteggiare le eresie e i dissidi interni alla Chiesa, San Damaso si preoccupava di custodire il recente passato, la memoria dei martiri, di coloro che avevano testimoniato la Verità di Cristo con le parole, con le opere e con il proprio sangue.

Questa attenzione al passato non determinò in lui alcuna ritrosia nei rapporti con il potere, tutt’altro, e tanto meno nell’intraprendenza apostolica. Quello di San Damaso era uno sguardo di fede che, oggettivamente, trascendeva il visibile e si estendeva con certezza al futuro.

Da dove traeva forza e slancio la fede operosa e intrepida di San Damaso, che, in quanto è la fede dei santi, non si lasciava condizionare dai propri inevitabili limiti e nemmeno dai propri peccati? Dove affondava le radici questo senso di universalità che accompagnava ogni suo operato, ogni suo pensiero? Da dove anche noi possiamo trarre rinnovata forza, oggi, nella Chiesa del terzo millennio?

Dalla memoria Christi! San Damaso traeva forza e certezza, consapevolezza e coraggio dalla memoria viva di Cristo. Una memoria che gli faceva affermare, con tutto il Sinodo Romano del 382:

«La Santa Chiesa di Roma non è stata elevata al di sopra di tutte le altre Chiese da alcuna costituzione sinodale, ma è dalla voce evangelica del Signore [evangelica Voce Domini] Nostro Salvatore che ha ottenuto il primato: tu sei – disse – Pietro».

La certezza del suo ministero, del suo compito nella Chiesa di Cristo e nella storia umana gli veniva dalla Voce stessa di Cristo Signore, che aveva detto a Pietro: «Tu es Petrus et super hanc petram aedificabo Ecclesiam meam, et portae inferi non praevalebunt adversum eam» (Mt 16,18). Era certo, poi, che questa voce fosse rivolta al Vescovo di Roma per una granitica e umilissima obbedienza a quella teologia della storia, attraverso la quale Cristo ama parlare: la stessa teologia che ha portato il giudeo-cristianesimo all’incontro provvidenziale prima con l’ellenismo e poi con il diritto e l’impero romano. Egli ben sapeva che i Santi Apostoli e Martiri avevano consacrato con il proprio sangue la Sede di Roma e traeva questa fede anche dalla pietà popolare, che sulla via Appia, spontaneamente, ne celebrava la memoria.

La memoria di Cristo, per San Damaso, era talmente totalizzante da conferirgli quello che oggi potremmo chiamare un autentico “realismo”, imponendogli quasi di guardare a tutte le cose con la consapevolezza viva che a fondamento della realtà vi è il Verbo di Dio, che – come afferma l’Apostolo – «tutte cose queste che sono ombra delle future; ma la realtà invece è Cristo!» (Col 2,17).

Egli aveva conosciuto il Dio che non soltanto sovrasta i cieli e tutto governa con la sua Provvidenza, ma il Dio entrato nella storia, diventato “parte” di questa storia – Uno di noi! – e che in questa storia, attraverso questa storia, vuole operare.

Egli aveva tanto chiaro questo legame inscindibile tra la salvezza dell’uomo e la presenza di Cristo, una presenza che si fa storia – la storia della Chiesa! –, da incidere con iscrizione monumentale nel Battistero da lui voluto sul colle Vaticano, vicino alla Basilica di San Pietro:

«In virtù della garanzia di Pietro, cui è affidata la porta del Cielo, io Damaso Vescovo di Cristo ho composto. V’è un’unica Cattedra di Pietro ed un unico vero lavacro, non più alcun vincolo tiene chi da quest’onda è lavato».

L’unicità del Battesimo, l’unicità di una sola fede, l’unicità di un solo Signore – e quindi la salvezza – venivano inscindibilmente congiunti all’unicità della Cattedra romana, la Cattedra di Pietro, vivo nei suoi successori, che di questa fede è, per volontà di Cristo, il primo discepolo e, quindi, l’autentico custode!

Oggi, la Chiesa del terzo millennio – l’Unica Chiesa di Cristo, Cattolica, Apostolica e Romana! – da dove trae la rinnovata consapevolezza della propria identità, del proprio essere, per volontà espressa di Cristo, il prolungamento sacramentale – e perciò reale! – della Sua Presenza nel mondo?

Da dove trae quell’indispensabile coscienza, fiera e grata, di avere quale unico mandato quello di portare Cristo all’uomo e di conquistare gli uomini alla Verità Cristo, a quella Verità per la quale soltanto il cuore dell’uomo e l’universo intero sono stati creati e vengono mantenuti nell’esistenza; quella Verità che ha nel cuore dell’uomo, nella coscienza dell’uomo – di ogni uomo! – il più grande alleato?

Oggi come allora, la memoria di Cristo, la consapevolezza di Cristo e della nostra appartenenza a Lui, la certezza di essere nel mondo il suo Corpo Mistico e quindi la sua presenza viva, viene da uno sguardo autentico al passato, a quel passato “vivo” che soltanto è capace di operare davvero nel presente e di aprirlo al futuro. Fare memoria di Cristo significa guardare alla storia con gli occhi della fede, con gli occhi di quella teologia della storia che non interpreta la parola di Cristo a partire dalle sempre mutevoli circostanze sociali e culturali, ma che interpreta queste circostanze – e diventa capace di plasmarle, senza alcun complesso di inferiorità –,

a partire dal Vangelo di Cristo, dalla storia della Chiesa e da quella certezza che viene – come diceva San Damaso – dall’evangelica Voce Domini: «Tu es Petrus et super hanc petram aedificabo Ecclesiam meam, et portae inferi non praevalebunt adversum eam».

Tra gli epigrammata giunti fino a noi, ve n’è uno che mi è particolarmente caro, composto da San Damaso per la tomba del martire Tarcisio, che aveva difeso con la propria vita il Santissimo Sacramento da una folla infuriata di pagani: «Tarcisio portava il Mistero di Cristo, quando una mano criminale tentò di profanarlo. Egli preferì lasciarsi massacrare, piuttosto che consegnare ai cani arrabbiati il Corpo del Signore». Il Martirologio romano, composto oltre mille anni dopo, ha aggiunto un particolare molto suggestivo, affermando che nè tra le mani di Tarcisio nè tra le sue vesti furono ritrovate le Specie eucaristiche: unendo la propria vita a quella di Cristo Eucaristia, egli era divenuto con Lui una sola Ostia immacolata!

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