
La navata centrale, lunga 49,5 m, culmina nell’abside che ospita l’altare maggiore ed è oggi è il risultato di molteplici rifacimenti susseguitisi nel corso dei secoli. La chiesa, voluta dal cardinale Riario su progetto di Bramante, fu completata nel 1501 e presenta un’abside di forma rettangolare con due nicchie laterali, mentre l’altare maggiore si eleva su alcuni gradini.
Un primo intervento si colloca negli anni in cui il cardinale Alessandro Farnese (1538-1589) diventa titolare della chiesa. Tra il 1773 e il 1777 furono abbelliti l’abside, il coro e l’altare, e venne collocata sulla parete di fondo la pala d’altare, iniziata da Taddeo Zuccari e conclusa dal fratello Federico Zuccari, raffigurante l’incoronazione della Vergine tra San Lorenzo e San Damaso. Tra il 1632 e il 1644, nel periodo in cui il cardinale Francesco Barberini ricopre la carica di vicecancelliere, l’abside viene completamente ristrutturata su progetto berniniano.
Due finestre triangolari affiancavano l’arco trionfale, mentre il catino absidale si presentava decorato da stucchi, con tre finestre sormontate da tondi anch’essi in stucco, raffiguranti, rispettivamente, il Battesimo di Sant’Ippolito, il Supplizio e la gloria di San Lorenzo. Nel 1638 due organi sostituirono l’organo originario, mentre il coro ligneo seguiva la forma dell’abside. Sopra la pala d’altare vennero collocati due angeli in stucco e la tiara, mentre una cancellata in ferro e ottone, decorata con gli stemmi barberiniani, circoscriveva tutta la zona dell’abside e della confessione.
Nel 1737, con il cardinale Ottoboni, si data un nuovo intervento, consistente nella realizzazione di due bracci di scale marmoree che dall’altare maggiore conducono alla cripta. L’altare, che un tempo era collocato sul fondo, si trova oggi nella cappella del Sacro Cuore. Al periodo in cui Francesco Carafa (1807-1818) ricopriva la carica di vicecancelliere, si fanno risalire le modifiche apportate dall’architetto Giuseppe Valadier, che intervenne su una chiesa devastata dalle occupazioni francesi (una del 1798, l’altra tra il 1809 e il 1814), che l’avevano ridotta a scuderia.
L’architetto restaura l’intera chiesa e la zona absidale, prolungando il coro ed eliminando la confessione, pur rispettando il progetto berniniano. Nel 1868 Pio IX incaricò Virgilio Vespignani dei lavori di restauro e consolidamento, poiché la chiesa era stata chiusa al culto per il rischio di crollo della copertura a volta realizzata da Valadier. Vespignani sostituì la cupola con un soffitto a cassettoni. Il catino assunse l’aspetto attuale: vennero rimossi i marmi berniniani e aggiunti tre tondi, sostituendo quelli precedenti e ora raffiguranti la Carità, la Fede e la Speranza.
Altre modifiche riguardarono l’eliminazione degli angeli della pala dello Zuccari, degli stemmi barberiniani e degli organi, sostituiti da due serliane; fu inoltre modificato l’altare (sotto il quale si trovano i corpi dei santi Eutichio e Papa Damaso), sormontato da un baldacchino in forme neoclassiche con colonne in alabastro. L’ultimo intervento fu l’eliminazione del prolungamento del coro che chiudeva la prima arcata, avvenuta in seguito all’incendio del 1939, durante il quale andò distrutto il soffitto a cassettoni.

Nel catino sono dipinte, entro tre medaglioni a olio, figure femminili simboleggianti le virtù teologali: Fede, Speranza e Carità Opere di Francesco Grandi (1831 – 1890)



La pala d’altare

Maria Coronata Regina del Cielo, i Santi Lorenzo Damaso e gli apostoli Pietro e Paolo Pala dell’Altare Maggiore datata 1589
Sullo sfondo troviamo la grande pala d’altare di Federico Zuccari (1539 – 1609). La pala d’altare raffigura i santi Lorenzo, Damaso, e gli apostoli Pietro e Paolo che assistono all’incoronazione della Vergine Maria Regina del Cielo, mentre sullo sfondo al centro, è memorizzato il ricordo del martirio di San Lorenzo sulla graticola in una fornace ardente; il dipinto non ha subito spostamenti di ubicazione nonostante i rifacimenti ottocenteschi dell’abside, anche se ovviamente questi ultimi l’hanno estrapolata dal contesto originario degli affreschi del coro cinquecentesco, commissionati dal cardinale titolare della chiesa Alessandro Farnese (Valentano 1520-Roma 4 marzo 1589) le pitture rappresentavano episodi della vita e del martirio di San Lorenzo: “Nelle pareti laterali e di fondo si scorgono Pitture di ottimi Autori; poiché quelle del lato destro sono del Cavalier d’Arpino detto Giuseppino, quelle del lato sinistro sono di Niccolò delle Pomarancie le altre sul fondo sono di Giovanni de Vecchj. … Nel mezzo della Circonferenza della stessa tribuna vedesi nel muro un gran Quadro rappresentante i Santi Titolari … Pittura di Federico Zuccari sulla lavagna.” (Bitozzi, Notizie storiche della Basilica collegiata insigne di San Lorenzo in Damaso … Roma 1797 parte II e IV, f.99 e 97). La pala è attribuita agli Zuccari e datata al 1589: nessun riferimento al dipinto si trova nella vasta critica artistica dei due fratelli Taddeo e Federico. Il raffinato mecenatismo del Cardinale Alessandro Farnese ha coinvolto a vasto raggio il palazzo della Cancelleria e la Chiesa, di cui era cardinale titolare, costituendo un autonomo cantiere destinato all’esecuzione delle decorazioni ad affresco. La pala d’altare realizzata ad olio su lavagna si configura come espressione di qualità compositiva nel vasto e complesso movimento pittorico degli ultimi decenni del cinquecento. Il triplice impianto costruttivo è di grande effetto scenico: in primo piano le figure solenni dei santi Lorenzo e Damaso, correlati agli apostoli Pietro e Paolo, che sintetizzano l’istituzione della Chiesa: al centro, in sembianza di antro, si apre una fucina in cui si consuma il martirio del santo titolare Lorenzo, l’incoronazione della Vergine conclude il programma iconografico del dipinto in una apoteosi di angeli tra le nuvole. La pala non viene ricordata nell’itinerario pittorico romano sulla pittura manierista (Claudio Strinati, Quadri Romani tra ‘500 e ‘600 Opere restaurate e da restaurare. Mostra storica e didattica. Atlante e Catalogo, Roma 1979), poiché il linguaggio espressivo del dipinto nell’impianto, nel disegno e nelle cromie rileva fermenti nuovi, che iniziano ad insinuarsi in quel vasto cantiere zuccaresco che aveva assistito Alessandro Farnese nella sua intelligente programmazione di mecenate, coadiuvato dal suo segretario Annibal Caro letterato e scrittore e corroborata dall’influenza dottrinale gesuitica, che aveva accompagnato il percorso religioso del Farnese nell’ultimo decennio della sua vita. In questa ottica di fermenti intellettualistici e dottrinari, si colloca l’esecuzione del dipinto un passo avanti nell’impostazione costruttiva e nelle figure rispetto alla sua datazione; si evidenzia in esso l’influsso della maniera nella costruzione aerea dell’incoronazione della Vergine, di contro, si svela una bellissima pagina quasi autonoma, nello “scuro” di riflesso raffaellesco dalla stanza di Eliodoro, ma già filtrato da influssi fiamminghi. Il lessico artistico della pala si avvicina per disegno, struttura e cromie a quanto realizzato in quegli anni a Roma da Nicolò Martinelli detto il Trometta (Pesaro1535 circa-Roma 1611) al quale si deve la committenza farnesiana del cardinale Alessandro degli affreschi dell’abside di Santa Maria in Aracoeli datati al 1568.
