Reliquiario databile 1753-1755
Opera di Michelangelo Ambrogi (1725-1760)
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Arredo sacro di nobile fattura, realizzato da Michelangelo Ambrogi (Viterbo 1725-Roma 17 febbraio 1760). Il 18 marzo 1725 egli aveva ottenuto la patente di Maestro argentiere, il suo bollo con la “M” sormontata dalla croce è stato depositato presso il notaio il 9 luglio 1726 (Costantino Bulgari, Argentieri Gemmari e Orafi d’Italia. Notizie Storiche e Raccolta dei loro Contrassegni con la riproduzione grafica dei Punzoni individuali e dei punzoni di Stato, Roma 1958, vol. I. p. 53), ed è visibile, unitamente al Camerale dello Stato Pontificio padiglione e chiavi decussate contrassegnato con il n.° 121 in uso nel biennio 1753-1755, tra le volute di raccordo allo stemma Falconieri (Anna Bulgari Calissoni, Maestri Argentieri Gemmari e Orafi di Roma, Roma, 1987, p.40). I punzoni costituiscono gli indubbi elementi per l’attribuzione e la datazione dei manufatti in metallo. L’argentiere risiedeva in via del Pellegrino di fronte alla Cancelleria, all’abitazione era annessa la bottega con l’insegna dell’Ercole. Questo reliquiario era destinato a contenere alcune particule sacre riferite alla Vergine, al Bambino Gesù e ai Santi Gioacchino ed Anna donate il 24 giugno 1718 dal patriarca di Costantinopoli Monsignor Camillo Cybo, al Cardinale Pietro Ottoboni il quale il 9 aprile 1728, le destinò al Capitolo di San Lorenzo in Damaso (Bitozzi, Notizie storiche della Basilica collegiata insigne di San Lorenzo in Damaso … Roma 1797, parte IV, f. 404).
Il reliquiario venne commissionato nel 1753 a Michelangelo Ambrogi in occasione del matrimonio di Giulia Mellini con Mario Falconieri di cui è visibile lo stemma nella base: “un rastrello di falcone fatto in guisa di scala a scacchi bianchi e neri in campo rosso” sormontato dalla corona marchionale (La storia delle Famiglie Romane di Teodoro Amayden con note ed aggiunte del Comm. Carlo Augusto Bertini, Roma Collegio Araldico s. d., ed an. Bologna 1967, vol. I, pp. 388-390).
Nella teca del reliquiario sono stati assemblati i frammenti sacri provenienti dalla elargizione costantinopolitana, e le reliquie dei Santi apostoli Pietro e Paolo e di San Filippo Neri, come si evince dai cartigli di corredo: (San Gioacchino Patri B.V.M.; S. Anna Matre B.V. M.; S. Fascie B.V.M.; Ex Vello v. M.V.; Ex fasci D.N.J.C.S.; S. Pietro Apostolo; San Paolo Ap.; S. Philippus Nerii); sul retro della capsula, a garanzia della loro autenticità è visibile il sigillo in ceralacca con lo stemma del Vice Cancelliere di Santa Romana Chiesa e Cardinale titolare della Basilica di San Lorenzo in Damaso, dal 1753 al 1756, Girolamo Colonna di Sciacca sormontato dal galero corredato di cordoni e nappe: “d’Azzurro alla campagna d’argento caricata di tre stelle d’otto raggi di rosso ordinate in fascia, a pino nodrito nella campagna, sostenuto a sinistra al tronco da un leone, il tutto d’argento” (Vittorio Spreti e coll., Enciclopedia Storico-Nobiliare Italiana, Milano 1928-1935, ed an. Bologna 1969, vol. VI, p. 204).
L’Ambrogi riflette la scuola degli argentieri romani ed elabora in questo arredo sacro, oltre agli elementi iconografici di derivazione classica, alcuni stilemi diffusi nel seicento che costituiscono ornamento basilare per gli elaborati artistici in argento: elementi costanti di impianto e di decoro come le volute, le ghirlande floreali, le foglie d’ulivo, le palme e l’acanto, oltre le protomi cherubiche, espressioni decorative che si ritrovano nei modelli dei repertori riprodotti a stampa, dagli ostensori ai trionfi destinati alla progettazione degli arredi liturgici (Marina Carta, Gli Arredi del Monastero Benedettino di Santa Caterina di Alessandria a Cittaducale, aspetti dell’arte Sacra tra Seicento e Settecento. In Annali della Pontificia Insigne accademia di Belle arti dei Virtuosi al Pantheon, XVI, 2015, pp. 333-357). Michelangelo Ambrogi esulando dai modelli basilari, propone una squisita e coreografica elaborazione tra l’edicola architettonica e l’apparato liturgico devozionale servendosi del luminismo cromatico tra l’argento e l’oro, per definire volumetrie e linee. Il reliquiario, per datazione, è espressione matura dell’abilità dell’artista, il quale visse e operò all’ombra della basilica damasiana tra via del Pellegrino e la Cancelleria, un legame costante per l’Ambrogi poiché alla sua morte avvenuta il 17 febbraio 1760, trovò sepoltura nella Basilica damasiana (Anna Bulgari Calissoni, op.cit., Roma, 1987, p. 40).
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Ampolle per Altare in argento e cristallo databili 1675
Girolamo Lucenti /1627-1698)
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Coppia di Ampolle di uso liturgico realizzate in vetro soffiato metallo e bronzo dorato: la decorazione si sviluppa dalla base lineare con finimenti e motivi vegetali a grottesca, cartocci, protomi cherubiche e cartigli a scudo in cui sono collocate le immagini di San Lorenzo martire e di San Damaso papa; una corolla rovesciata funge da tappo e il versatoio si raccorda al collo attraverso cartocci modanati, il manico ad anse è definito da una protome cherubica. Nel retro della base è posto lo scudo araldico scandito da volute e concluso in alto al centro con una testina cherubica, in cui è inserito lo stemma di Francesco Maria Febei: inquartato al 1.° d’argento alla lettera A di nero, nel 2.° d’azzurro al sole d’oro, nel 3.° d’azzurro alla stella di 8 raggi d’oro, nel 4.° d’argento alle lettere AVE unite di nero. Questo stemma si vede anche col 2.°e 3.° quarto di rosso e con le lettere d’oro poste in banda. (La storia delle Famiglie Romane di Teodoro Amayden con note ed aggiunte del Comm. Carlo Augusto Bertini, Roma Collegio Araldico s.d., ed an. Bologna 1967, vol.I, p.411). Dalla elaborazione formale del manufatto si definisce una lezione decorativa di espressione artistica riconducibile per datazione a Girolamo Lucenti (1627-1698): allievo dello scultore Alessandro Algardi, bronzista, fonditore e incisore di monete, la sua attività è legata alla realizzazione delle imprese di Gian Lorenzo Bernini. Il 7 agosto del 1675 «… fu ordinato a viva voce che si desse la patente al sig. Cavaliere Lucenti, il quale più volte ne aveva fatto istanza, che altre volte se ne era veduta la prova a sufficienza.» (Costantino Bulgari, Argentieri Gemmari e Orafi d’Italia. Notizie Storiche e Raccolta dei loro Contrassegni con la riproduzione grafica dei Punzoni individuali e dei punzoni di Stato, Roma 1958, vol.I. p.59), l’essere accolto nell’Università degli Orefici, propende a supporre che le ampolle debbano considerarsi un duplice ringraziamento per la chiesa damasiana legata all’Università per la presenza delle abitazioni e botteghe degli orefici operanti a via del Pellegrino e nella piazza della Cancelleria, e per la familiarità di Lucenti con Francesco Maria Febei: Arcivescovo di Tarso Commendatore dell’Ospedale di Santo Spirito in Sassia e primo Maestro di Cerimonie del Pontefice il cui stemma è posto nel verso della base delle ampolle, uomo di cultura e letterato aveva pubblicato De Anno Iubilei De origine et progressio celebritatis Anni Iubilei Franc. Maria Phoebeus Urbeventanus Archiepisc. Tarsensis S. Spiritus Commendatarius ad instruendum animum Imminente Anno Iubilei MDCLXXV Romae Sup. Fermis Ex Typis Vaticanis die IV Ianuarij MDCLXXV. (Marina Carta Il Commendatore Francesco Maria Febei committente e letterato, Atti del Convegno Internazionale di Studi, Roma 15-17 maggio 2001, in “Il Veltro” Rivista della Civiltà Italiana, 1-4 anno XLVI, Gennaio-Agosto 2002, pp.143-161). Il Febei si pone come cardine in qualità delle sue cariche per la patente di orafo del Cavalier Lucenti e perché dal 1645 al 1679 la Basilica ebbe l’in commendam (espressione latinache indica l’affidamento temporaneo dei redditi di un ente ecclesiastico ad un “commendatario” non possedeva la carica che comportava il beneficio, ma solo il beneficio stesso) del Cardinale titolare. Le ampolle pertanto costituiscono una testimonianza dell’attività degli artisti operanti nella vasta produzione barocca legata all’attività di Gian Lorenzo Bernini non solo scultore, ma grande disegnatore e abile progettista, aveva creato una equipe di artisti che hanno collaborato alla realizzazione delle sue imprese barocche dagli altari alle decorazioni degli edifici sacri e profani. Girolamo Lucenti aveva iniziato con suo padre Ambrogio a partecipare a questa incessante e feconda attività berniniana collaborando nel 1668 alla realizzazione delle statue degli angeli di Ponte Sant’Angelo e nel 1674 con l’aiuto di Bernardino Danesi alla fusione del ciborio di bronzo dorato disegnato da Gian Lorenzo e destinato alla Cappella del Santissimo Sacramento a San Pietro.
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Le ampolle costituiscono la maturità artistica di Girolamo: la trasparenza vitrea evidenzia il preziosismo e l’eleganza del disegno e delle forme nella felice unione con il bronzo dorato e il metallo elementi con cui il Lucenti aveva sicurezza di elaborazione e familiarità nell’esecuzione del disegno: dall’arabesco alle figure cherubiche, alle immagini dei santi Lorenzo e Damaso titolari della Chiesa. Le ampolle rappresentano forse la migliore e la meno conosciuta tra le opere di Girolamo Lucenti, in cui prevale l’abilità del fonditore che sconcerta e sconfigge il modello grafico dell’orafo.
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Calice databile 1781-1783
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Biagio Augi 1781-1783
Oro e argento, tornito, sbalzato, cesellato, avvitato
Il calice presenta una base dalla modanatura liscia e ribassata decorata con spighe e conchiglie, composta da cartigli articolati a volute in cui sono inseriti l’aquila, il pellicano e l’agnello intercalati da coppie di testine cherubiche. Il fusto mostra un nodo centrale piriforme scandito da volute. Le cornici a cartoccio sono sormontate da protomi angeliche e nell’interno sono visibili le tenaglie, la scala con il lenzuolo della deposizione. Nel sottocoppa sono raffigurati l’anfora, i tralci d’uva, la tunica e il velo della Veronica.
Nel Calice sono visibili nella modanatura della base il merco dell’argentiere Biagio Augi (1729-1805) AB, mentre il bollo della Camera Apostolica n.136a è riferito agli anni 1781-1783 e definisce in questo biennio la datazione del calice con la sua patena (Anna Bulgari Calissoni, Maestri Argentieri Gemmari e Orafi di Roma, Roma, 1987, pp.74-75). L’Augi di origine siciliana, fu maestro orafo e incisore di avori, dal 1759 al 1805 è domiciliato in via del Pellegrino dove rileva la casa dei Marni, che fu abitazione e bottega degli argentieri Fumante mantenendo l’insegna delle Tre Virtù.
Il 30 dicembre 1781 Biagio mostra all’Università degli orefici la sua prova ottenendo la patente di orafo con il pagamento di 30 scudi. Il 3 gennaio 1805, muore e viene seppellito nella Basilica di San Lorenzo in Damaso (Costantino Bulgari, Argentieri Gemmari e Orafi d’Italia. Notizie Storiche e Raccolta dei loro Contrassegni con la riproduzione grafica dei Punzoni individuali e dei punzoni di Stato, Roma 1958, vol. I. p.81). Il lessico che definisce questo arredo nell’autonomia inventiva del manufatto d’argento del tardo barocco, costituisce un perfetto equilibrio descrittivo tra il tema narrativo e le decorazioni di corredo, i ritmi della stesura del Calice seguono la qualità figurativa degli arredi sacri negli ultimi anni del settecento e sono un riscontro della maturità espressiva di Biagio Augi nell’equilibrio formale tra la narrazione figurativa e gli elementi decorativi.
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